Riguardo all’opzione “Tfr in busta”, già dallo scorso luglio si parlava di “flop”. Adesso, a un anno dall’avvio della norma, i dati sembrano confermarlo: meno dell’1% dei lavoratori ha scelto di avere subito il proprio Tfr.
Per l’esattezza, secondo i dati diffusi dalla Fondazione dei Consulenti del lavoro, 6.712 lavoratori su un campione di 900.000 (lo 0,74%).
Il motivo principale dell’insuccesso è l‘impianto fiscale: il 52% degli intervistati ha affermato di non aver optato per il Tfr in busta proprio per la tassazione troppo penalizzante.
Il Trattamento di Fine rapporto liquidato in busta, infatti, è sottoposto a tassazione ordinaria. Soluzione penalizzante rispetto alla tassazione agevolata (15% – 9%) che viene applicata al Tfr destinato al fondo pensione o quella separata (circa il 23%) prevista per lo mantiene “in azienda”.
Oltre alle “tasse”, c’è anche chi guarda al futuro: il 18% ha dichiarato che richiedere il Tfr in busta paga anziché versarlo al fondo pensione sarebbe stata troppo penalizzante per la pensione futura, mentre il 22% sostiene di non voler rinunciare alla “vecchia” liquidazione al termine del rapporto di lavoro.
Il “Tfr in busta” non piace, insomma. Va comunque ricordato che l’opzione è attivabile fino a giugno 2018 da parte di tutti i lavoratori dipendenti (esclusi agricoli, domestici e pubblici) con almeno 6 mesi di anzianità presso l’azienda.
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