Le cronache politiche di questi giorni ci raccontano del progetto “Quota 100”, con cui il Governo permetterebbe di accedere alla pensione con 62 anni di età e 38 di contributi, 4 in meno rispetto alla “Legge Fornero”.
Fra le tante riflessioni possibili, il pensiero va innanzitutto all’instabilità del sistema previdenziale italiano: dagli anni ’90 si susseguono riforme fra loro non sempre coerenti, con evidenti squilibri fra prestazioni. Cosa si racconterà, ad esempio, a chi, nel 2017, è andato in pensione con quasi 42 anni di contributi?
C’è poi il tema dell’incertezza sul futuro, specie per i più giovani, che si chiedono quale prospettiva guiderà i futuri governi riguardo alle pensioni.
Infine, la questione “copertura economica”: lo squilibrio demografico (calo nascite – invecchiamento popolazione) mette a dura prova il nostro sistema previdenziale; a meno che non si vogliano alzare i contributi o aumentare il debito pubblico, sembrerebbe inevitabile abbassare l’importo della pensione, oppure innalzare l’età pensionabile.
Parlando di lavoro si intravede poi, ambiguo e strisciante, un aspetto ulteriore: quale “valore” diamo al lavoro e, dunque, alla nostra stessa esistenza?
Attraverso il lavoro (e non tramite rendite o sussidi) il cittadino acquisisce dignità, fa qualcosa di utile per sé stesso e per la collettività. Ora, sembra qui che lo scopo della nostra vita sia quello di… scappare dal lavoro prima possibile, andando in pensione: un paradosso.
Certo, non si discutono le situazioni gravose (…“precoci”, “usuranti”, ecc.) sulle quali anzi, data la carenza di risorse, andrebbe concentrata l’attenzione e, in generale, non potrebbe essere più utile qualche forma di flessibilità, che svincoli l’uscita dal mondo del lavoro dalle novecentesche rigidità assicurando, al contempo, maggiore attenzione alla libertà individuale?
Gli interventi sul sistema pensionistico dovrebbero ripartire proprio da qui: flessibilità delle prestazioni e buona gestione del fattore “tempo”; in sintesi, dalla qualità della vita di ciascuno.
In effetti, mentre politica e media si focalizzano su “quota 100”, tanti italiani (pensionati di domani e dopodomani) mettono da parte qualche risparmio per la loro “terza età”. Vogliono essere liberi di programmare il loro futuro, con consapevolezza e responsabilità, convinti che sarebbe poco lungimirante farlo dipendere solo dallo Stato.
Alcuni utilizzano il risparmio tradizionale, altri i Fondi Pensione che, dal 1993, permettono di integrare la pensione pubblica e che oggi, attraverso la “R.I.T.A.” (Rendita Integrativa Temporanea Anticipata), consentono di anticipare l’uscita dal mondo del lavoro.
Risposte concrete per chi ha il coraggio di pianificare.
Tuttavia, poiché si parla d’altro, è lecito chiedersi: in quanti se ne sono accorti?
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