Negli ultimi mesi si è molto discusso del bilancio INPS (e di riflesso, dello Stato). Cosa potrebbe accadere se le richieste per “Quota 100” dovessero risultare più numerose del previsto? Potrebbero esserci problemi di sostenibilità per l’Istituto previdenziale?
In effetti si è ipotizzato un incremento del debito pubblico di 90 miliardi, qualora la nuova forma di pensionamento introdotta ad inizio anno diventasse strutturale: una prospettiva scoraggiante, soprattutto per i più giovani.
Si tratta chiaramente di congetture che dovranno essere misurate concretamente nel contesto normativo e di finanza pubblica del futuro e non è questo il tema che ci preme discutere. L’occasione consente invece di riprendere il confronto fra due modelli gestionali diametralmente opposti: previdenza pubblica e previdenza complementare.
L’INPS – sistema a ripartizione. Il patto intergenerazionale
Innanzitutto, l’INPS: sistema a ripartizione nel quale, semplificando al massimo, i contributi raccolti vengono utilizzati per finanziare l’erogazione delle prestazioni pensionistiche. Il modello si basa sul patto tra generazioni: una parte del reddito generato dei lavoratori attivi viene trasferito ai pensionati, ossia a coloro che, non lavorando più, non possono produrre reddito per loro conto.
Questo sistema è strettamente correlato alle dinamiche demografiche, all’occupazione e alla produttività. Se ad esempio il numero dei beneficiari (pensionati) aumentasse, mentre il numero dei contribuenti attivi (lavoratori) restasse uguale o addirittura tendesse a diminuire, le finanze non risulterebbero equilibrate, con un potenziale rischio di tenuta del sistema.
Se ne discute molto, con evidente preoccupazione, proprio nel nostro Paese, dove si vive a lungo, ma la natalità è in calo, e dove economia e produttività ristagnano.
Fondi pensione – capitalizzazione individuale. Risparmio a lungo termine
Il problema del potenziale squilibrio non riguarda invece i fondi pensione, che adottano il modello della capitalizzazione individuale: sono dunque forme di risparmio a lungo termine nelle quali, semplificando, i contributi vengono accantonati nella posizione individuale di ciascun iscritto, con la precisa finalità di costituire il capitale necessario ad erogare le prestazioni.
Il fondo pensione, dunque, non utilizza le risorse di taluni associati (i contribuenti) per finanziare le prestazioni di altri associati (i pensionati): questi ultimi riceveranno, sotto forma di prestazione, nulla più e nulla meno del valore corrispondente ai contributi versati ed ai rendimenti tempo per tempo accumulati.
In conclusione, la stabilità finanziaria del fondo pensione è garantita dal modello adottato e non sussiste, nei fondi a capitalizzazione individuale, un rischio di squilibrio fra uscite ed entrate (come nei modelli a ripartizione).
Ne consegue che l’opzione “quota 100” lascia indifferenti i fondi pensione, salvo il fatto che gli uffici potrebbero dover gestire un maggior numero di pratiche di liquidazione, ma questo non è certo un tema rilevante.
Semmai nei fondi pensione il rischio da presidiare è quello legato ai mercati finanziari, che impone al risparmiatore un atteggiamento attivo e responsabile nelle scelte adottate nello sviluppo del percorso previdenziale
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