In questi giorni abbiamo letto e ascoltato che il pensionato di Quota 100, subirebbe una “penalizzazione”, ossia una riduzione dell’importo di pensione, variabile tra il 5 e il 35% rispetto a quello della “Legge Fornero”. A dirlo, è una simulazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio.
“Subire una penalizzazione”, quindi uno svantaggio immotivato, fa pensare a una ingiustizia o per meglio dire, a una iniquità. Che, evidentemente, andrebbe contrastata e combattuta. Ma è proprio così?
Il metodo di calcolo contributivo, introdotto oltre venti anni fa con la Legge Dini (335/95), prevede che l’importo della pensione dipenda dalla quantità dei contributi versati durante l’attività lavorativa e venga commisurato alla speranza di vita, cioè agli anni durante i quali, prevedibilmente, si potrà godere della pensione. Più contributi: pensione più alta; più anni in pensione: pensione più bassa. E viceversa.
È chiaro quindi che prima si va in pensione, più ridotto sarà il suo importo; ne beneficerò però per un periodo più lungo. Quindi, nessun premio (privilegio) e nessuna penalizzazione (ingiustizia), perché la pensione contributiva non è l’esito di una promessa elettorale e neppure di un negoziato sindacale ma, semplificando, il risultato di un’equivalenza (tanto ho versato, tanto andrò a ricevere), cosa non ancora del tutto compresa dall’opinione pubblica.
È proprio il funzionamento di questo modello che suggerì, negli anni ’90, l’introduzione dei fondi pensione per integrare pensioni che arrivavano presto, ma erano più basse rispetto al vecchio calcolo “retributivo”.
Con la Fornero sono previste pensioni più alte, ma che arrivano più tardi. Anche in questo scenario i fondi pensione possono intervenire, pagando una Rendita Integrativa Temporanea Anticipata (RITA), fino a dieci anni prima della maturazione del diritto alla pensione INPS di vecchiaia. Per questo la previdenza complementare costituisce una soluzione flessibile, che ben si adatta alle esigenze di ciascun cittadino, a prescindere dai diversi scenari normativi.
Una soluzione con la quale affrontare responsabilmente i profondi cambiamenti demografici che hanno alterato l’equilibrio del patto generazionale tra anziani e giovani. Se però prevale l’idea delle penalizzazioni e delle ingiustizie, anziché trovare le giuste contromisure, finiremo per aggravare ancor di più i problemi.
Come, per lo più, abbiamo fatto per 23 anni, senza accorgerci che il mondo era cambiato.