Come alcuni ricorderanno, la “Qu.I.R.” (Quota Integrativa alla Retribuzione) è stato uno dei progetti fortemente voluti e promossi dal precedente governo.
In sostanza, l’operazione apriva ai lavoratori dipendenti la possibilità di richiedere al datore di lavoro la liquidazione in busta paga della quota di TFR maturanda.
La scelta sarebbe stata irrevocabile dal momento in cui veniva formulata fino al 30/06/2018.
LA “PAGELLA” DELLA QU.I.R.
I dati ancora parziali pubblicati dall’Inps rappresentano un magro bilancio sull’esito dell’iniziativa con “soli” 400.000 lavoratori aderenti, circa il 2,5% degli aventi diritto.
Lo scarso successo registrato è in parte imputabile al regime fiscale decisamente poco vantaggioso riconosciuto alla Qu.I.R.: il TFR liquidato in busta paga rientrava a tutti gli effetti nel computo del reddito corrente e per questo si applicava il regime di tassazione ordinario (IRPEF e addizionali regionali e comunali).
Non è soggetto, invece, ad imposizione contributiva e non incide sulle voci che concorrono alla formazione del “reddito complessivo”, il TFR mantenuto in azienda (o al fondo di tesoreria INPS) o destinato al fondo pensione.
L’impatto fiscale sulla scelta di ricevere il TFR “in busta” è stato ben evidenziato dalle simulazioni pubblicate nel 2015 in fase di “lancio” della Qu.I.R.
COSA SUCCEDE ORA?
Non essendo intervenute proroghe o altre comunicazioni in merito, dal mese di luglio 2018, i datori di lavoro non sono più tenuti a erogare in busta paga la Qu.I.R. ai dipendenti che ne avevano fatta richiesta.
Verrà quindi di fatto ripristinata la scelta di destinazione del TFR previgente all’entrata in vigore della norma ovvero:
- versamento al fondo pensione negoziale o ad altra forma di previdenza complementare
- versamento al fondo di tesoreria INPS (obbligatorio nelle aziende con più di 50 dipendenti)
- accantonamento in azienda
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