In apertura occorre subito fare una distinzione tra:
- rischio fallimento del fondo pensione
- rischio dell’investimento
Il primo riguarda il funzionamento del fondo, il secondo invece è relativo all’andamento dell’investimento scelto dal lavoratore iscritto. Oggi esamineremo il primo.
Fallimento del fondo pensione
Il fondo pensione non può fallire. L’ Art 15 comma 5 del D.Lgs. 252/05 recita: «Ai fondi pensione si applica esclusivamente la disciplina dell’amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa, con esclusione del fallimento.”
Perché?
La previdenza complementare in Italia funziona secondo il cosiddetto sistema a capitalizzazione, molto diverso dal sistema a ripartizione che regolamenta il funzionamento dell’INPS. Quali sono le differenze?
Capitalizzazione e ripartizione: sistemi a confronto
CAPITALIZZAZIONE
Esso rappresenta un modello di finanziamento nel quale, semplificando, ognuno risparmia per sé. I contributi versati vengono accantonati nella posizione individuale dell’iscritto, con la precisa finalità di costituire il capitale necessario a permettere un futuro previdenziale più solido.
Per questo motivo, il fondo pensione non utilizza le risorse degli associati per finanziare sé stessa o altre prestazioni. Il finanziamento delle attività del fondo avviene mediante la quota associativa versata da lavoratori ed aziende associate.
Qualora le entrate derivanti dalle quote associative non dovessero risultare sufficienti a coprire le uscite, non vi sarà alcuna procedura di fallimento; semplicemente decadrà l’autorizzazione all’esercizio dell’attività rilasciata dalla Covip al fondo pensione.
Le posizioni previdenziali dei lavoratori associati verranno trasferite, senza penalizzazioni, ad un altro fondo pensione negoziale (come accaduto tra il 2011 e il 2014 a due fondi pensione negoziali italiani).
Massima tutela per gli iscritti, dunque, e per il loro risparmio previdenziale.
RIPARTIZIONE
Il modello appena esaminato, si contrappone al sistema a ripartizione: i contributi raccolti vengono utilizzati per finanziare l’erogazione delle prestazioni di chi è già in pensione.
Il sistema si basa sul patto tra generazioni: il trasferimento di risorse da una categoria (i lavoratori attivi) ad un’altra categoria (i pensionati).
Questo sistema è dipendente dallo sviluppo demografico. Infatti, se il numero dei beneficiari (pensionati) continua ad aumentare, mentre il numero dei contribuenti attivi (lavoratori) resta uguale o addirittura tende a diminuire, le finanze non sono più equilibrate.
La potenziale insostenibilità di questo patto tra generazioni è, da vent’anni, al centro del dibattito politico, sin dall’approvazione della “Riforma Dini” nel 1995 e all’introduzione del calcolo contributivo delle pensioni.