Il cantiere pensioni, si sa, non è mai chiuso del tutto. In questi giorni tuttavia sembra che i lavori siano ripresi. Freneticamente.
La prima linea di intervento, è ormai noto, riguarda la flessibilità in uscita: agire sulla Legge Fornero per rendere più flessibile l’accesso alla pensione. Un modello nel quale l’entità della pensione sia collegata in qualche modo alle contribuzioni versate e/o all’età di uscita (qualcuno le chiama, forse impropriamente, penalizzazioni).
La seconda riguarda i Fondi Pensione. Non ci sono conferme, ma il Governo sembrerebbe orientato ad introdurre alcune modifiche normative con l’obiettivo di incrementare il peso della pensione complementare.
Tra gli interventi ipotizzati:
- una riduzione dell’imposta sui rendimenti maturati Fondi (elevata al 20% dal 2014)
- l’incremento della deducibilità dei contributi versati
- il versamento automatico del Tfr (tutto o in parte) ai fondi pensione.
Sembra altresì vi sia la volontà di intervenire sulla governance dei Fondi e sul ruolo di Covip.
Dopo questa prima serie di interventi, sembra sia allo studio, da parte del Governo, una diminuzione del costo del lavoro, tagliando i contributi previdenziali obbligatori. Per il lavoratore, in questo scenario, una parte dei contributi non più versati all’Inps, potrebbero essere destinati alla previdenza complementare.
Non si tratta di un modello “nuovo”: attorno a questo schema molto si è dibattuto negli anni passati. Siamo peraltro ancora a livello di indiscrezioni ed il buon senso suggerisce di essere prudenti prima di esprimere giudizi.
Sembra evidente che gli interventi sulla “flessibilità” dovranno probabilmente essere inseriti in un contesto di riforma più ampio, nel quale la previdenza complementare, e quindi i Fondi pensione, saranno chiamati a svolgere un ruolo decisivo nella sostenibilità di lungo termine del sistema di welfare del nostro paese.
Il commento
Su queste ipotesi interviene Paolo Stefan, Direttore di Solidarietà Veneto: «da tempo sosteniamo con convinzione il fatto che il sistema pensionistico debba essere conformato a criteri di “flessibilità” e stiamo lavorando affinché, in questo nuovo modello, Solidarietà Veneto possa interpretare al meglio le esigenze di welfare dei cittadini».
«Aldilà degli esiti che avrà questa iniziativa governativa – prosegue – ci pare che queste settimane portino con sé segnali di cambiamento: a vent’anni dalla legge Dini, e a quasi dieci dal silenzio assenso, le oltre 1.000 nuove adesioni per il Fondo territoriale nei primi tre mesi dell’anno ci inducono a pensare che il tempo dei “se” e dei “ma”, dei “mi conviene?” e dei “quanto rende? sia forse finito. I cittadini stanno passando dagli indugi alle scelte».
«Del resto – conclude Stefan – chi mai ancora nel 2016, riflettendo in modo responsabile, può pensare il proprio percorso professionale senza previdenza complementare?»
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