Pier Paolo Baretta conosce bene la “flessibilità in uscita”: due anni fa, assieme a Cesare Damiano, presentò un disegno di legge in cui per la prima volta si proponeva di rendere flessibile la soglia della pensione.
Una proposta che, secondo le stime Inps, sarebbe costata 8,5 miliardi di euro; troppo per il Governo. Ma Baretta la difende: «Quei numeri sono esagerati, la proposta costerebbe meno della metà rispetto a quanto indicato».
Il sottosegretario, nell’intervista pubblicata da Il Corriere della Sera, indica anche strade alternative, partendo però da un presupposto molto chiaro: «per garantire l’equilibrio del sistema non bisogna guardare solo all’oggi ma anche al domani e ai giorni che vengono dopo».
Il punto fermo resta la flessibilità, anche pensando alle casse dello Stato: «nel medio-lungo periodo, rendere flessibile l’età della pensione porterebbe lo Stato non a spendere di più ma a risparmiare».
Flessibilità: nuove proposte
Una proposta alternativa rispetto a quella inserita nel disegno di legge di due anni fa era già ventilata: il taglio progressivo, cioè una riduzione dell’assegno, a fronte della flessibilità in uscita, non più pari al 2% per ogni anno di anticipo, ma che cresce più velocemente, il 5% dopo due anni, l’8% dopo tre.
Baretta conferma: «È una delle idee sul tavolo, ma ce ne sono anche altre».
E quali sono?
«Si potrebbe legare il taglio dell’assegno al livello del reddito – propone il sottosegretario – se prendi una pensione da 1.500 euro, dico per dire, ti taglio il 2%, se ne prendi 2.500, a parità di altre condizioni, ti taglio un po’ di più».
Un’altra idea: «Si potrebbe anche introdurre la flessibilità in modo graduale – continua – nel 2016 consenti di uscire con un anno di anticipo, nel 2017 con due anni di anticipo, nel 2018 sali fino a tre. E così via».
I costi
«Se nel medio-lungo periodo la flessibilità porta risparmi – dice Baretta – nell’immediato dei costi ci sono. Ma possono essere sostenibili, del tutto sostenibili».
Da dove arriverebbero i risparmi per lo Stato?
«Chi dovesse decidere di lasciare il lavoro prima dei 66 anni avrebbe un assegno più basso non per un po’ di tempo, ma per tutto il resto della sua vita. È da qui, ma non solo, che arriverebbero i risparmi per il bilancio pubblico. Anche questa è spending review»
Pensioni e occupazione giovanile
Baretta ammette: «aver alzato l’età della pensione era inevitabile perché l’aspettativa di vita, per fortuna, è diventata più lunga. L’errore è stato averlo fatto dalla sera alla mattina e in modo uguale per tutti».
«Il risultato è sotto gli occhi di tutti – ha proseguito – abbiamo creato una barriera all’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro».
«Se tutti restano al lavoro fino a 66 anni – conclude – gli unici posti disponibili sono quelli aggiuntivi. E sappiamo bene come sia difficile averne di questi tempi. Un po’ di sostituzione tra anziani e giovani serve. Altrimenti il sistema non tiene».
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