La legge 335/1995 è stato il più rilevante riassetto previdenziale del Dopoguerra, che si inseriva nel progetto di riordino del sistema, iniziato già nel1992.
Fu così aperto il “cantiere pensioni”; un cantiere che, dopo le recenti proposte del Presidente INPS Boeri, sembra più aperto che mai.
Molti, forse tutti, lo ricordano per l’introduzione del sistema contributivo; un evento che cambiò definitivamente gli scenari previdenziali degli italiani.
Ma la “Riforma Dini” non è solo questo.
In quella legge, infatti, furono introdotte altre importanti novità: dal “secondo pilastro” previdenziale, alla gestione separata, fino all’aumento dell’età minima per l’accesso alla pensione.
Ripercorriamo i passaggi principali di questa normativa che resta una pietra miliare per la pensione pubblica in Italia.
Nuovo metodo di calcolo: il contributivo
L’introduzione del sistema contributivo che sancì il superamento delle pensioni calcolate esclusivamente con il sistema retributivo.
Il contributivo, inizialmente, fu pensato per i lavoratori più “giovani”. Veniva applicato
- totalmente ai lavoratori privi di qualsiasi anzianità al 31 dicembre 1995
- pro rata a quei lavoratori con meno di diciotto anni di contributi al 1995
Per questi lavoratori, dal 1996, le pensioni cominciarono ad essere calcolate non più sulla base degli ultimi stipendi percepiti (il retributivo), ma sulla base del totale dei contributi versati durante la carriera. Gli effetti? Una drastica riduzione dell’assegno previdenziale pubblico.
La previdenza complementare
La riforma Dini ha determinato un’altra svolta nella storia della previdenza italiana attuando un nuovo sistema basato su “due pilastri“.
Il primo pilastro è rappresentato dalla previdenza obbligatoria (Inps) che assicura la pensione di base.
Il secondo pilastro è rappresentato dalla previdenza complementare che, attraverso l’adesione volontaria e collettiva alle forme pensionistiche complementari, offre la possibilità di costituirsi una “seconda pensione”.
Ecco gettate le basi su cui è stato costruito il sistema dei fondi pensione come lo conosciamo oggi.
Accesso alla pensione: si allungano i tempi
La legge introdusse una correzione delle pensioni di anzianità, inserendo (per la prima volta) un’età minima per accedervi, che si aggiungeva ai classici 35 anni di contributi (le famose “quote”, intese come somma di età e contributi).
Si iniziò, inoltre, a parlare di pensionamenti a scadenze definite (le “finestre”): una volta maturati i requisiti, si poteva accedere alla pensione di anzianità (e poi anche di vecchiaia) solo in determinati mesi dell’anno.
Abolizione dell’integrazione al minimo
La legge 335 abolì l’integrazione al trattamento minimo per le pensioni di reversibilità totalmente contributive.
In caso di decesso o di invalidità permanente, quindi, la famiglia del lavoratore riceverà una pensione il cui importo sarà calcolato esclusivamente base dei contributi versati, senza nessuna integrazione “al minimo”.
I dati diffusi dall’Inps fanno riflettere: le pensioni liquidate con le nuove regole sono state 51.000, praticamente tutte di invalidità o di reversibilità; Il loro importo medio è di 173 euro al mese. Con il “vecchio” sistema, l’importo di queste pensioni sarebbe stato di circa 500 euro al mese.
La creazione della Gestione separata
Un’altra novità fu la creazione della Gestione separata dell’Inps, finalizzata all’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, alle partite Iva, privi di una loro Cassa, nonché ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa.
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